Per gli imprenditori agricoli il tempo delle scelte (quasi obbligate): diminuire la produzione?

Le amare riflessioni e i quesiti illuminanti del Socio di Confagricoltura Ragusa,  dott. Roberto Giadone (Natura Iblea – Paniere Bio, azienda agricola di Ispica leader nel settore bio), già vincitore di diverse edizioni del premio Welfare Index PMI 

Quali scelte deve fare un agricoltore in questo momento di grande incertezza? Siamo nella fase di inizio di unanuova campagna dove dobbiamo pianificare le quantità, le varietà e i tempi di produzione. Per noi agricoltori è il tempo delle scelte.

Le aziende agricole non sono delle casseforti finanziarie, con riserve di denaro illimitate, tutto quello che guadagniamo è quasi sempre reinvestito nell’azienda stessa. Un errore di valutazione può essere cruciale per la sopravvivenza stessa delle nostre aziende.
In questa fase qualche giorno fa mi sono trovato a fare queste considerazioni:

1 – abbiamo uno spropositato aumento dei costi di produzione e quindi dovremo vendere il prodotto ad un prezzo di almeno il doppio della scorsa stagione, ed avremo un raddoppio dell’investimento finanziario iniziale in semi, concimi, coperture, energia, ecc.;

2 – il potere di acquisto dei singoli cittadini non è aumentato (stipendi al palo) anzi è diminuito a causa dell’inflazione;

3 – la difficoltà nel reperire manodopera mi ha portato a non poter raccogliere tutto il prodotto in campo nella scorsa stagione.

Queste considerazioni mi hanno portato ad una scelta quasi obbligata: diminuire la produzione. Ridurre la produzione e quindi abbassare la nostra offerta di prodotto. Avremo un minore investimento iniziale, non avremo bisogno di tornare alla spasmodica ricerca di personale (anzi lo diminuiremmo), non offriremmo al consumatore impoverito troppo prodotto caro. Scelta semplice, intuitiva ed economicamente intelligente. Ma… La GDO potrà accettare di avere gli scaffali vuoti per mancanza di prodotto? Il consumatore medio rinuncerà all’acquisto del “fresco fuori stagione” anche se è ormai entrato nella logica salutistica di una dieta variata tutto l’anno? Il surplus di personale ed i conseguenti licenziamenti come potranno avvenire senza operare scelte penose e dolorose? Come ammortizzare le spese delle nostre strutture con un fatturato minore?
Molte volte le scelte intelligenti non sono anche semplici. Io non ho una ricetta in mano per dare una risposta alle domande, ma è pur sempre vero che abbiamo, noi agricoltori, da sempre una spiccata attitudine a superare e sopportare i problemi. Nel mio dialetto siciliano c’è un detto che recita così “calati juncu ca passa la china” (calati giunco e fai passare la piena del fiume) per poi rialzarsi più forti di prima. Speriamo…

 

Roberto Giadone

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Grano duro, Confagricoltura: “Fermare la speculazione e ritornare a un proficuo dialogo all’interno della filiera”

“Sulla corsa verso l’alto dei prezzi del grano duro può avere inciso una scommessa che sta ora producendo distorsioni lungo la filiera. Le notizie, forse filtrate ad arte, di ritorni su buoni livelli di produzione in Nord America, dopo la forte contrazione dello scorso anno, hanno spinto molti agricoltori italiani a vendere velocemente, generando così un eccesso di offerta sul mercato”.

A parlare così a margine dell’Assemblea generale di Confagricoltura è Carlo Maresca, presidente della Federazione nazionale cereali alimentari della Confederazione.

“In queste ultime ore si registra una repentina discesa del prezzo del grano duro che non trova giustificazioni in una campagna di raccolta che ha fatto segnare sul territorio nazionale un calo medio di produzione di circa il 30%. Il rischio, alimentato anche dalla grande speculazione finanziaria che approfitta della crisi internazionale in corso, è che ci sia un vero e proprio crollo nel valore del grano duro, che produrrebbe effetti devastanti per l’agricoltura nazionale”.

A proposito di speculazione, Confagricoltura ricorda che il mercato dei futures sulle materie prime – oro escluso – valeva, all’inizio del 2022, 390 miliardi di dollari, il 30% in più nel giro di un anno.

“Per questo – conclude il presidente Maresca – riteniamo necessario che ci sia in tutta Italia un’attenta verifica dell’andamento delle quotazioni sui diversi mercati. Dobbiamo in tutti i modi evitare che, ancora una volta, siano gli agricoltori a pagare dazio per manovre speculative che nulla hanno a che fare con uno sviluppo serio e sostenibile di un comparto strategico per l’economia italiana. Un comparto che, come tutta l’agricoltura, ha dovuto far fronte a un aumento dei costi di produzione senza precedenti e che, per evitare un tracollo, necessita della collaborazione tra tutte le parti della filiera”.

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Ucraina, Giansanti (Confagricoltura): “Accelerare lo sblocco del grano fermo nei porti. Le alternative via terra troppo lunghe”

“Solo la ripresa delle esportazioni dell’Ucraina via mare può scongiurare il rischio di una crisi alimentare su vasta scala. Le alternative basate sull’utilizzo di ferrovie e rotte stradali hanno tempi di consegna troppo lunghi”.

Questa la presa di posizione del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, sulle iniziative in corso per sbloccare il grano, circa 22 milioni di tonnellate, stoccato nei porti ucraini. Nella media degli anni passati – rileva Confagricoltura – l’Ucraina esportava in questo periodo 5 milioni di tonnellate di grano al mese. Ora, nonostante l’apertura di ‘corridoi di solidarietà’ da parte degli Stati membri della UE, non si va oltre un milione.

“Non resta molto tempo a disposizione per trovare un accordo – evidenzia Giansanti –perché con l’aumento delle temperature il grano stoccato rischia di marcire. Occorre, inoltre, liberare i silos per i nuovi raccolti”. A proposito dei nuovi raccolti, le notizie che arrivano da Kiev non sono incoraggianti. Secondo le ultime stime diffuse dall’Associazione interprofessionale cerealicola, a cui aderiscono gli agricoltori e gli esportatori di settore, nella campagna di commercializzazione 2022-2023 la produzione di grano dovrebbe attestarsi a 19 milioni di tonnellate, il 40% in meno sulla precedente annata che ha fatto registrare quantitativi da record. Le esportazioni sono valutate attorno ai dieci milioni di tonnellate, con un taglio del 50%. Anche per i raccolti di mais è prevista una diminuzione nell’ordine del 30%.

“Spetta ai principali Paesi produttori ed esportatori di cereali colmare il vuoto provocato dalla riduzione delle esportazioni di cereali dell’Ucraina – puntualizza il presidente di Confagricoltura – per evitare ulteriori e gravi squilibri di mercato a livello internazionale e fermare la corsa verso l’alto dei prezzi spinta anche dalla speculazione finanziaria”. In un anno – secondo l’indice della FAO – i prezzi dei cereali sono saliti del 56%.

“In ambito europeo, una maggioranza di Stati membri – aggiunge Giansanti – ha chiesto alla Commissione europea di utilizzare tutto il potenziale produttivo, rinviando eccezionalmente l’entrata in vigore delle nuove regole sulla rotazione delle colture e consentendo la semina dei terreni destinati al riposo produttivo”.

“Gli Stati Uniti hanno già deciso di incentivare gli agricoltori per aumentare la produzione. La Commissione UE è in ritardo e deve agire con la massima sollecitudine” – conclude il presidente di Confagricoltura.

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Ucraina, Confagricoltura: cereali e semi oleosi strategici quanto gas e petrolio

Giansanti: “Sfruttare tutto il potenziale per un rapido aumento della produzione in Ue”

“Vanno poste le condizioni per spingere al massimo i raccolti di cereali e semi oleosi nell’Unione europea, modificando le regole vigenti. L’aumento della produzione è indispensabile per compensare il blocco delle importazioni dall’Ucraina e dalla Federazione Russa. E tutto il settore agroalimentare va incluso tra quelli destinatari dei provvedimenti allo studio per il ‘caro energia’.

Queste le richieste avanzate dal presidente della Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, in vista delle misure annunciate dalla Commissione UE per limitare l’impatto economico determinato dalla crisi in Ucraina.

“I segnali che arrivano dai mercati – afferma Giansanti – sono chiarissimi. La metà del mais importato dalla UE arriva dall’Ucraina che lo scorso anno, di questi tempi, ne esportava circa 3,5 milioni di tonnellate al mese. Ora i movimenti sono bloccati. Cereali e semi oleosi sono diventati quindi un asset strategico, come il gas ed il petrolio, ma con una sostanziale differenza. Nell’Unione abbiamo il potenziale per aumentare rapidamente la produzione agricola”.

“Alle mancate importazioni da Ucraina e Federazione Russa – prosegue il presidente di Confagricoltura – dobbiamo aggiungere la drastica contrazione dei raccolti in Ucraina. E la Cina ha autorizzato di recente la ripresa delle importazioni di grano dalla Federazione Russa, bloccate da tempo per ragioni fitosanitarie”.

“Per i cereali possiamo soddisfare l’aumento del fabbisogno negli Stati membri. Ma la UE e gli Stati Uniti saranno chiamati anche a rispondere alla richiesta dei Paesi Terzi, più dipendenti dalle importazioni da Ucraina e Federazione Russa. La situazione – evidenzia Giansanti – è particolarmente delicata nell’area del Mediterraneo dove, dai dati disponibili, risulta che le scorte utilizzabili coprono il fabbisogno solo fino alla prossima estate”.

Nel caso della Tunisia, ad esempio, per Confagricoltura, gli acquisti di grano ucraino e russo incidono tradizionalmente per quasi il 60% sul totale delle importazioni di settore. Nel 2021 il grano raccolto in Ucraina ha coperto il 30% dell’import totale dell’Egitto.

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Olio, Confagricoltura: frena la produzione italiana che scivola dopo la Grecia

Secondo anno di “bassa” per la produzione nazionale di olio d’oliva, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy. Il forte calo, secondo i dati provvisori diffusi dal Coi (Consiglio oleicolo internazionale) – sottolinea Confagricoltura – non è esclusivamente italiano, perché a perdere terreno sono anche il Portogallo (-28,8%) e la Grecia (meno 1,8%). La Spagna, invece, continua anche quest’anno a rafforzare la sua leadership segnando, in controtendenza agli altri Paesi mediterranei, una crescita del 24,4%.

 

“La forte riduzione della nostra produzione – afferma Walter Placida, presidente della Federazione (FNP) olivicola nazionale di Confagricoltura – è ormai diventata endemica. Occorre risolverla presto con un approccio pragmatico e fattivo. Siamo diventati il terzo Paese produttore dopo Spagna e Grecia, rimanendo primi importatori e consumatori. La nostra olivicoltura è un patrimonio inimitabile che vive difficoltà strutturali e commerciali nonostante la qualità dei prodotti. Siamo primi al mondo per biodiversità, con oltre 500 cultivar che danno vita ad oli con profili aromatici unici nel panorama mondiale, senza contare la cultura, la qualità delle produzioni, la salvaguardia ambientale e paesaggistica, lo sviluppo e la ricerca tecnologica”.

 

“E’ necessario – conclude Placida – un Piano olivicolo nazionale che consenta di impiantare nuovi oliveti e recuperare quelli abbandonati. Serve garantire, su tutto il territorio nazionale, valore al lavoro dei nostri agricoltori, riconoscendo un giusto sostegno alla filiera agricola impegnata nella produzione di un olio extravergine di oliva di qualità, garantendo un prezzo equo, adeguato e remunerativo. La discussione in ambito COI per la modifica dei parametri qualitativi con la riduzione dei parametri di acidità, infine, potrebbe comportare la rimozione dal mercato di una fetta consistente pari al 50% della produzione italiana di extravergine. Ma non solo. Se non si valorizza l’esito del Panel test, si corre il rischio di escludere dalla gamma degli extravergini oli con caratteristiche organolettiche ottime e continuare ad ammettere oli stranieri sensorialmente discutibili”.

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Confagricoltura, trebbiatura 2021: meno grano ma di alta qualità, a tutto vantaggio della filiera della pasta Made in Italy

È in fase avanzata la trebbiatura del grano duro in Sicilia e Puglia ed emerge che, al contrario delle previsioni iniziali (che stimavano +9%), il raccolto è in diminuzione; IGC (International Grains Council) e BMTI hanno rivisto al ribasso le stime produttive (-9,2%). Lo pone in evidenza Confagricoltura che sta monitorando le operazioni di mietitura in atto sul territorio.

 

Nel Foggiano, area particolarmente vocata alla produzione – a causa della gelata di aprile e della siccità di maggio – si registra un calo produttivo ancor più marcato (tra -20 e -30%). Però la qualità sembra ottima con peso specifico mediamente superiore a 80, mentre le proteine medie si attestano intorno a 13/14%. Che la qualità ci sia, è testimoniato anche dal fatto che il listino prezzi della Borsa Merci di Foggia (del 23 giugno) – dopo la fase di stallo per la trebbiatura – registra per il prodotto fino con contenuto proteico minimo del 12%, quotazioni di 300 euro/tonn. Si tenga presente che i prezzi del grano duro avevano raggiunto picchi superiori a 300 euro a tonnellata nel 2020, poi erano calati gradualmente nel 2021.

 

L’anno scorso, complessivamente, la Puglia ha prodotto 9,5 milioni di quintali di grano duro, il 35% della produzione nazionale, impiegando una superficie superiore a 344 mila ettari. Da sola, la provincia di Foggia, nel 2020, ha prodotto oltre 7 milioni di quintali su una superficie di 240mila ettari, con una resa media per ettaro di 29,68 quintali.

 

Invece la siccità non sembra aver compromesso i raccolti di frumenti, ma anche dell’orzo, in Emilia Romagna. Ad oggi, grano ed orzo si presentano in buone condizioni, nonostante la prolungata siccità che ha caratterizzato i primi mesi dell’anno, in quanto le piogge e le basse temperature dell’ultimo periodo hanno consentito l’assorbimento ottimale delle concimazioni azotate.

 

L’Emilia Romagna vanta l’investimento a grano tenero di 146 mila ettari, mentre il grano duro si concentra su poco meno di 50 mila ettari e l’orzo ne copre oltre 24 mila ha.

 

Nel Mantovano le prime indicazioni della trebbiatura dell’orzo rivelano rese in calo ma qualità buona e prezzi in aumento. In loco l’orzo è stato coltivato su circa 5 mila ettari.

 

“Stiamo lavorando per l’affermazione della filiera grano/pasta al 100 per cento made in Italy – ha concluso Confagricoltura -. Il grano che si sta raccogliendo è di ottima qualità, cosa che favorisce la collaborazione tricolore tra cerealicoltori e pastai. D’altronde, c’è una sempre maggiore attenzione e sensibilità da parte dei consumatori verso la pasta totalmente italiana”.

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Recovery, Giansanti: “Risorse inadeguate per l’agricoltura reale. Auspichiamo ulteriori fondi per un settore strategico dell’economia nazionale”

“La pandemia ha riportato in evidenza il valore strategico della sovranità alimentare. Ma, per accrescere la produzione agricola interna, ferma al 75% del fabbisogno nazionale, occorre un programma di investimenti ben più ampio di quello previsto allo stato degli atti”.

Così il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, a proposito dello schema di Recovery Plan che nella serata di oggi sarà al vaglio del Consiglio dei Ministri.

“Nel complesso – afferma Giansanti – la dotazione finanziaria prevista per l’agricoltura reale, al capitolo 2.1, ammonta a 1,8 miliardi di euro: appena lo 0,3% rispetto alla dimensione economica del contributo dato dalla filiera agroalimentare al PIL, 540 miliardi di euro”.

“Va inoltre ricordato che a fronte delle risorse destinate al Next Generation EU, si registra una riduzione dei fondi destinati alla futura Politica Agricola Comune, che comporterà un taglio del 10% degli interventi a favore delle imprese agricole italiane”.

“Per far avanzare la produzione interna e la sostenibilità ambientale, occorre puntare sugli investimenti delle imprese del settore, al fine di generare una modernizzazione diffusa che consentirà alle imprese stesse di essere più competitive sui mercati internazionali. Un ruolo centrale va dato alla ricerca scientifica per il contributo che è in grado di assicurare per una valida transizione ecologica”.

Confagricoltura auspica che il prossimo Consiglio dei Ministri intervenga in tal senso, rafforzando il ruolo di centralità del settore primario, già riconosciuto dal Governo.

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Grano duro: incertezza su campagna 2020 mentre cresce la domanda di frumento italiano e di qualità

Se ne è parlato oggi nella Webinar del Durum Days, alla presenza di tutte le sigle della filiera. Iniziale impennata dei consumi di pasta con il lockdown (+40% a marzo), prevista ulteriore contrazione delle riserve mondiali (-27%) di frumento duro, mentre la siccità mette a rischio quantità e qualità del prossimo raccolto.

 

La filiera del grano duro e della pasta è riuscita durante l’emergenza COVID19 a rispondere all’improvviso picco di domanda garantendo costantemente le forniture sul canale distribuzione, pur trovandosi a fronteggiare difficoltà logistiche e un aumento complessivo dei costi di produzione. Sforzo che non mette però al riparo da tensioni, visto che le scorte di grano duro a livello mondiale continuano a calare, il prezzo è da mesi in rialzo e sulla qualità della prossima campagna produttiva incombono non poche preoccupazioni. È questo il quadro che emerge dal Durum Days 2020, l’evento che ogni anno chiama a confronto tutti gli attori della filiera per fare il punto sulle previsioni della prossima campagna produttiva e che ha visto in questa quinta edizione confrontarsi via web Assosementi, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Alleanza Cooperative Agroalimentari, Compag, Italmopa e Unione Italiana Food, con la partnership tecnica di Areté, con la collaborazione del Crea e con la partecipazione in veste di sponsor di Syngenta-PSB.

La filiera del grano duro – è emerso da uno studio elaborato dall’istituto di ricerca Areté e presentato per l’occasione – è alle prese con uno scenario non facile e assai imprevedibile, contraddistinto da fattori mutevoli e contrastanti; sul fronte della domanda, accanto all’azzeramento del canale della ristorazione, la grande distribuzione tra marzo ed aprile ha visto crescere i consumi di pasta del 24%. I picchi di aumento dei consumi (fino a oltre il +40%) registrati a marzo si sono però altrettanto repentinamente contratti fino ad attestarsi, già a partire da fine aprile, a cali fino al 10% rispetto alla stessa settimana dell’anno precedente.

Quando la domanda è schizzata in alto, la filiera industriale si è subito messa in moto a ritmi sostenuti. La produzione di semola nei due mesi di lockdown ha avuto una crescita a due cifre (+15%), mentre molti pastifici, in alcune settimane, hanno raggiunto ritmi di produzione superiori al 100% della loro capacità, ottenuti attraverso una rimodulazione dei turni e una riduzione dei formati lavorati. L’introduzione delle procedure per garantire la sicurezza dei lavoratori e delle produzioni, nel rispetto delle indicazioni del Governo, ha comportato strozzature e rallentamenti logistici lungo tutta la filiera, con un conseguente aumento generale dei costi di produzione.

Gli sforzi produttivi di questi mesi hanno contribuito a soddisfare la domanda dei consumatori in un momento di emergenza, ma a monte della filiera pasta rimane un mercato del grano duro con scorte ai minimi degli ultimi dieci anni e che, secondo le stime di Areté, saranno ancora in calo del 27% anche nel corso della prossima campagna. Il tutto in presenza di prezzi del grano duro che, all’inizio del lockdown, erano superiori del 25% rispetto all’anno precedente.

Pertanto, anche per la prossima campagna il mercato rimane scarsamente approvvigionato, nonostante il leggero aumento delle superfici seminate in Italia rispetto alla campagna precedente (+6%) che, a parità di rese, daranno un analogo incremento produttivo. Ma c’è preoccupazione per la qualità del prossimo raccolto, per via della prolungata siccità. Ciò in uno scenario che vede crescere nel nostro Paese la richiesta di frumento di qualità e di origine italiana, in linea con l’attenzione crescente da parte dei consumatori verso la provenienza della materia prima e verso prodotti di qualità, di formati speciali e con più alto contenuto proteico.

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Lo zucchero in Europa è sempre più amaro

Confagricoltura condivide e rilancia le preoccupazioni della Confederazione internazionale dei bieticoltori europei (CIBE) sul futuro dello zucchero europeo.

“Avevamo già denunciato – rileva il suo presidente Massimiliano Giansanti – che, in Italia, le superfici di barbabietole da zucchero in 11 anni si sono contratte del 62%, chiedendo alle istituzioni comunitarie di attivare al più presto misure eccezionali. Ora anche il Cibe ha ricordato come negli ultimi due anni non siano state adottate misure per il settore scosso da forti turbolenze, trasferendo più di due miliardi di euro dai produttori e dalle industrie agli utilizzatori di zucchero”.

Confagricoltura ricorda che, su richiesta del ministro delle Politiche agricole alimentari forestali e del Turismo Gian Marco Centinaio, alla fine dello scorso anno, si è insediato a Bruxelles un gruppo ad alto livello che finora, però, non ha fornito indicazioni e proposte per far uscire lo zucchero dalla crisi.

Il Cibe ha denunciato una perdita pari al 30% sul reddito dei produttori europei, nonostante il livello più alto di produzione e qualità delle loro barbabietole. “Dopo l’Italia – continua Giansanti – è ora l’intero settore dello zucchero europeo in profondo rosso. La crisi, innescata dai bassi prezzi, ha colpito i paesi principali produttori nella UE, tanto che il gruppo tedesco Sudzucker ha annunciato la chiusura di cinque zuccherifici in Europa, di cui due in Francia”.

Le preoccupazioni del presidente di Confagricoltura sono condivise dal presidente dell’Associazione nazionale bieticoltori (ANB) Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi: “Da tempo prevedevamo la crisi del settore, che ora non è più solo un problema italiano, ma anche europeo, sul quale sia il Mipaaft sia le nostre Organizzazioni hanno gli occhi ben puntati, ma sul quale invece manca una risposta concreta e attiva delle Istituzioni europee”. Anche per questo ANB sta mettendo in campo nuove strategie, come il progetto per la valorizzazione dei sottoprodotti delle polpe a fini energetici.

“Occorre – conclude Massimiliano Giansanti – il sostegno dall’Europa. Attendiamo proposte che prevedano benefici diretti per la produzione agricola incentivando così gli investimenti, che valorizzino lo zucchero italiano ed europeo, sfruttando i nostri punti di forza per mantenere questo settore di eccellenza e rilanciando una filiera essenziale per l’agricoltura e l’agroalimentare nazionale”.

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Uva da tavola, produttori siciliani in ginocchio a causa del cracking

Il presidente Musumeci: “Presto un Tavolo di Filiera sull’uva da mensa e la sottoscrizione con l’Università di Catania di una convenzione per la ricerca scientifica per individuare le cause del cracking con fondi regionali”.

In grave sofferenza il comparto dell’uva da tavola siciliana a causa del “cracking”, ovvero una fisiopatia che provoca la lacerazione della buccia degli acini. Oltre a danneggiarsi esteticamente, gli acini vengono così attaccati da agenti di marciumi e muffe.Il cracking è è dovuto ad uno squilibrio ormonale della pianta causato dai trattamenti con fitoregolatori e da altri cofattori (potatura verde, siccità, eccesso di acqua, ecc.).

Quest’anno la fisiopatia si è presentata in modo massiccio in Sicilia, colpendo tutte le coltivazioni di uva da tavola della regione. L’area in cui il fenomeno si è manifestato maggiormente è quella di Mazzarrone. Il sindaco del comune etneo, appena qualche settimana fa, ha richiesto alla Regione il riconoscimento dello stato di calamità.

Per discutere dell’emergenza cracking, venerdì scorso (5 ottobre) è stato organizzato, presso il Palazzo della Regione a Catania, un incontro promosso dall’Assessorato Regionale all’Agricoltura, retto da Edy Bandiera, e presieduto dal governatore Nello Musumeci.

All’incontro hanno partecipato non solo i sindaci e gli amministratori dei centri agricoli maggiormente colpiti che ricadono nel Calatino, nell’Agrigentino, nel Siracusano e nel Ragusano, ma anche i dirigenti dell’Agenzia delle Entrate, i vertici delle organizzazioni Cia e Confagricoltura, una rappresentanza di produttori, i docenti del Dipartimento di Agraria dell’ateneo catanese Alessandra Gentile, Giancarlo Polizzi e Alberto Continella. Per la Regione erano presenti il direttore generale del dipartimento Agricoltura Carmelo Frittitta ed i capi dell’Ispettorato agrario di Catania, Siracusa e Ragusa.

Il sindaco di Mazzarrone Giovanni Spada, Comune capofila, ha denunciato la grave situazione di disagio economico determinata quest’anno dal cracking, che ha provocato la esclusione dai mercati di buona parte della produzione di Uva Italia coltivata in Sicilia. Sulla stessa linea anche gli altri interventi e l’invito al governo regionale a promuovere ogni iniziativa a sostegno dei produttori colpiti.

In particolare, è stata evidenziata la necessità di ottenere la deroga all’obbligo di assicurarsi ai fini della copertura del danno, la esenzione dagli oneri contributivi e ogni altra misura finalizzata ad evitare che le aziende agricole diventino morose con l’Inps e gli Istituti di credito per la impossibilità di far fronte ai pagamenti alle scadenze ormai prossime.

Molta attenzione è stata rivolta alla necessità di trovare soluzioni per migliorare la elasticità della buccia del prodotto e sulla opportunità di puntare per il futuro su nuove varietà autoctone, per le quali i docenti universitari hanno lavorato in questi anni con risultati soddisfacenti. Puntuale la relazione del direttore del dipartimento Frittitta, che ha riproposto il contesto normativo – regionale, nazionale e comunitario- entro il quale la Regione può agire per venire incontro alle esigenze dei produttori danneggiati.

L’incontro si è concluso con l’intervento del presidente Nello Musumeci che ha assicurato, per i prossimi giorni, l’adozione da parte del governo regionale della delibera con la quale sarà chiesta al governo centrale la dichiarazione dello stato di calamità, secondo le delimitazioni territoriali già pervenute dagli ispettorati provinciali.

Musumeci ha anche annunciato l’istituzione di un Tavolo di filiera sull’uva da mensa e di voler sottoscrivere con l’Università di Catania una convenzione finalizzata alla ricerca scientifica per individuare le cause del cracking, con fondi regionali.

Al ministro dell’Agricoltura sarà consegnato un dossier con le richieste dei produttori affinché si intervenga, fra l’altro, sull’Inps e sull’Abi, per consentire le deroghe essenziali alle aziende siciliane che rischiano di restare in ginocchio.

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