CETA, Confagricoltura: a cinque anni dall’entrata in vigore dell’accordo commerciale, risultati ampiamente positivi

“A cinque anni dall’entrata in vigore dell’accordo CETA tra Unione europea e Canada, i risultati confermano performance largamente positive per la UE e per l’export agroalimentare. Confagricoltura aveva sostenuto già allora l’intesa, che si è rivelata positiva non solo dal punto di vista commerciale, ma anche nel contesto macroeconomico e politico”.

Così il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, commenta i dati diffusi dalla Commissione europea in occasione del primo lustro di applicazione del CETA.

In una nota, la Commissione fornisce i dati e conferma che ci sono state significative ricadute per l’economia e per i consumatori: gli scambi bilaterali e bidirezionali di merci tra la UE e il Canada sono aumentati del 31% negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 60 miliardi di euro.

Per l’Italia, la crescita delle esportazioni verso il Canada dall’entrata in vigore dell’accordo è stata del 36,3%, raggiungendo nel 2021 quota 7 miliardi. Tra le voci più performanti dell’export tricolore figura proprio l’agroalimentare, con aumenti di oltre l’80% in cinque anni nell’ortofrutta trasformata e del 24% nel comparto bevande, alcolici e aceto.

“Gli accordi commerciali sottoscritti dalla UE sono, in generale, un valido strumento per supportare la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane – sostiene Giansanti – anche per la tutela assicurata alle indicazioni geografiche”.

“Il CETA dà anche l’occasione di allargare le intese. A fine mese, in occasione di un incontro tra il commissario Ue all’agricoltura e le autorità di Ottawa, si potrà siglare un accordo per l’aumento delle importazioni di ammoniaca sul mercato europeo, come contributo per evitare una carenza di fertilizzanti nella UE”.

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Grano duro, prezzi in rialzo fino all’80% rispetto al 2021. Le prime stime produttive della campagna 2022 in Italia sono in leggero calo

Sono i dati emersi dai Durum Days di Foggia, l’evento che ha visto tutti i protagonisti della filiera fare il punto sulle previsioni del grano duro. In Italia pesano le incognite legate al clima; la produzione nazionale si attesterà al di sotto di 4 milioni di tonnellate.

Restano sostenuti i prezzi del grano duro, con quotazioni superiori di circa il 70-80% rispetto a un anno fa. A maggio il prezzo della Camera di Commercio di Foggia si è attestato sui 544,50 €/t, un valore non distante dai picchi massimi toccati a gennaio 2022. È difficile al momento ipotizzare riduzioni di prezzo superiori al 15%, anche per il sostegno che arriva da condizioni sempre più critiche sul generale mercato dei cereali. In Europa il clima secco sta mettendo a rischio il raccolto di frumento duro, soprattutto in Francia, mentre in Italia le recenti piogge potrebbero non essere sufficienti a compensare la siccità dei mesi precedenti, anche alla luce dei ritardi delle semine, ed in considerazione dell’ondata di caldo che sta investendo il Paese. Le prospettive di riduzione dei prezzi per il grano duro, peraltro modeste, restano quindi subordinate ai rischi di ulteriore deterioramento delle produzioni per via dell’impatto climatico. La produzione nazionale faticherebbe a raggiungere i 4 milioni di tonnellate, facendo quindi registrare un leggero calo rispetto alla campagna precedente.

È questo il quadro che è emerso dai Durum Days 2022, l’evento che ogni anno chiama a confronto tutti gli attori della filiera per fare il punto sulle previsioni della campagna, svoltisi oggi a Foggia con la partecipazione dei rappresentanti di Assosementi, Cia – Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Alleanza Cooperative Agroalimentari, Compag, Italmopa, Unione Italiana Food e CREA, con Areté quale partner tecnico e con la partecipazione in veste di sponsor di Syngenta.

Secondo le previsioni elaborate da Areté, società di ricerca e consulenza specializzata nell’agri-food, dopo il pesante impatto della siccità che nella scorsa campagna ha compromesso oltre la metà del raccolto atteso in Nord America, anche per la campagna 2022/23 (che si apre a giugno 2022) le condizioni climatiche non ottimali stanno ipotecando le produzioni attese.

In Nord America (USA e Canada), i ritardi nelle semine e la siccità stanno limitando le potenzialità di rimbalzo dell’offerta, comunque significative dopo la produzione deludente della scorsa campagna. In Canada, dove l’aumento atteso delle aree seminate è superiore al 10%, le stime di Areté prevedono produzioni che non andranno oltre i 5,5 milioni di tonnellate: non certo un dato record, ma comunque un recupero importante rispetto al dato precedente di 2,6 milioni di tonnellate.

Tornando invece alle previsioni di resa del grano duro per l’Italia, sono pesanti le incognite legate ai cambiamenti climatici. Secondo il Centro di Cerealicoltura e Colture Industriali del CREA, il più importante ente di ricerca dedicato all’agroalimentare, “nelle regioni meridionali, le semine scalari di inizio stagione, dovute alle abbondanti precipitazioni, unitamente alle basse temperature del periodo primaverile hanno provocato un allungamento del ciclo della coltura, costringendola ad una fase di riempimento della granella con temperature in forte aumento. Pertanto, in questi areali, se le condizioni meteorologiche permangono stabili, la produzione media attesa potrebbe essere limitata per effetto della “stretta”. Nelle regioni centro-settentrionali, superato l’allarme siccità del periodo invernale-primaverile, al momento la coltivazione si presenta in buone condizioni anche dal punto di vista fitosanitario. Resta anche al Nord l’incognita meteorologica delle prossime settimane che potrebbe influenzare ancora la produzione finale.

 

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Export, Berlino: le aziende di Confagricoltura protagoniste a Fruit Logistica

La tavola rotonda all’ambasciata sulle prospettive del settore e il convegno sul futuro della logistica

 

Confagricoltura è presente alla kermesse berlinese in forze, con uno stand istituzionale e numerose aziende ortofrutticole associate partecipanti, a testimoniare l’importanza del mercato tedesco, che assorbe circa il 30% in valore del nostro prodotto fresco e quasi il 20% del trasformato. Nel 2021 abbiamo segnato un +10% per gli ortaggi, il +2,7% per la frutta. Bene anche il trasformato (+5,8%).

 

In occasione dell’inaugurazione della Fiera, ospitati dall’Ambasciatore, S.E. Armando Varricchio nella prestigiosa sede dell’ambasciata italiana, alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si è discusso dell’incerto quadro internazionale economico e di mercato in cui i nostri imprenditori si trovano ad operare. Nella tavola rotonda, organizzata da Confagricoltura insieme ai partner Fruitimprese, ICE Agenzia e la rappresentanza italiana di Messe Berlin/Fiera di Berlino, si è discusso della difficile fase congiunturale, in vista di una revisione della recente Riforma dalla Politica agricola comunitaria.

 

“La nostra ortofrutta – ha rimarcato Giansanti – si distingue per l’elevata qualità e la sicurezza superiore alla media della UE. Ha una performance positiva in valore nelle esportazioni, che si riflette in un aumento del saldo della bilancia commerciale. Preoccupa anche la diminuzione delle esportazioni polacche e greche in Ucraina, dal momento che i volumi invenduti rischiano di sovrapporsi con le produzioni nazionali”.

 

“Il settore ortofrutticolo – ha aggiunto – vale 14 miliardi e rappresenta il 27% del totale della produzione agricola nazionale. Il nostro obiettivo è, nonostante le oggettive difficoltà politico sanitarie dopo oltre due anni di pandemia e collegate all’attuale conflitto russo ucraino, di promuovere queste eccellenze per creare ulteriori opportunità, salvaguardare la competitività delle imprese nella difficile fase congiunturale, superare le criticità “storiche”, affrontando i punti di debolezza del comparto, come i costi di produzione più alti dei competitor e la logistica non adeguata alla estrema rapidità degli scambi”.

 

E proprio sulla logistica, nel convegno organizzato da Confagricoltura Salerno, si è affrontato il tema dell’hub del freddo. L’Italia ha pesanti gap che ostacolano l’export: il 90% della merce viene trasportata su gomma e circa la metà delle esportazioni italiane destinate al mercato europeo viaggia lungo l’asse scandinavo/mediterraneo. Per l’ortofrutta è più conveniente partire dal Marocco e arrivare ad Amsterdam, che andare dalla Sicilia a Berlino. Per non parlare della conservazione della merce in occasione dei periodi di picchi produttivi.

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Fruit Logistica, Confagricoltura a Berlino con le aziende leader dell’ortofrutta italiana

Confagricoltura sarà presente a Berlino, dal 5 al 7 aprile, a Fruit Logistica, la più importante fiera dedicata all’ortofrutta che torna dopo un anno di assenza e un posticipo rispetto al tradizionale mese di febbraio.

Rispetto agli altri anni, Confagricoltura prenderà parte a Fruit Logistica con uno spazio istituzionale nel Padiglione 2.2 (Stand B-01), da sempre quello di riferimento per l’Italia.

Nutrita e qualificata è la partecipazione delle aziende aderenti alla Confederazione, testimoni, in particolare, di un alto livello di innovazione che le porta ad essere maggiormente competitive sui mercati internazionali.

L’edizione 2022 ricade in un momento delicato e difficile per l’economia mondiale, alla luce del conflitto in Ucraina e degli esiti della pandemia, ma il settore ortofrutticolo italiano continua ad esprimere performance molto positive in termini di valore ed export. Le imprese presenti a Fruit Logistica dimostrano questa vitalità.

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L’ortofrutta italiana – spiega Confagricoltura – rappresenta oltre ¼ del totale della produzione agricola nazionale (il 27% per la precisione), con un valore di circa 14 miliardi di euro, posizionandosi all’ottavo posto mondiale tra i Paesi produttori. (Tabella 1).

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Sul fronte delle esportazioni, l’Italia è il sesto Paese al mondo con un valore di 9,5 miliardi di euro tra ortofrutta fresca e trasformata e un significativo +5,3% nel 2021 (Tabella 2) che conferma il comparto al primo posto tra le voci dell’export nazionale.

A trainare le vendite all’estero è il segmento della frutta fresca, in particolare mele, kiwi, pere, pesche e nettarine.

La Germania – conclude Confagricoltura – è il primo mercato di sbocco, che cresce ancora arrivando ad assorbire il 30% del valore del nostro prodotto fresco e circa il 20% di quello trasformato.

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Ucraina, Confagricoltura chiede un piano di emergenza per l’agroalimentare. Giansanti: gestire le conseguenze economiche delle sanzioni

“Un piano di emergenza per il settore agroalimentare, coordinato dalla Commissione europea, per assicurare la continuità dei cicli produttivi e garantire i rifornimenti”: è la richiesta lanciata dal presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, per far fronte alle conseguenze della crisi in Ucraina.

“Lo squilibrio dei mercati agroalimentari, innescato nel 2014 dall’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa, rese necessario un intervento di sostegno del bilancio europeo di un miliardo di euro – ricorda Giansanti – La situazione e le prospettive attuali sono ben più gravi, tra aumento dei prezzi e vere e proprie carenze di produzione”.

“Vedremo in dettaglio l’elenco delle sanzioni in ambito commerciale decise ieri sera dal Consiglio Europeo – prosegue il presidente di Confagricoltura – a cui seguiranno le scontate reazioni di Mosca. Ma i segnali che arrivano dai mercati già destano profonda preoccupazione”.

I prezzi del gas e del petrolio continuano a salire e sono praticamente ferme le partenze di cereali dai porti dell’Ucraina. Sono quindi a rischio le esportazioni verso i principali mercati di sbocco costituiti da Egitto, Turchia, Indonesia e Marocco.

Il mercato internazionale dei cereali è sotto pressione, anche a causa delle stime relative alla contrazione dei raccolti in Argentina e Brasile per la carenza di piogge – segnala Confagricoltura – E’ destinato quindi a salire il costo per l’alimentazione del bestiame che già alla fine dello scorso anno ha fatto registrare un rialzo del 30%”.

I future relativi al grano sono saliti in un giorno del 6%, mentre sono in calo del 2% quelli del bestiame.

Confagricoltura ricorda, inoltre, che dall’inizio di febbraio le autorità di Mosca hanno bloccato le esportazioni di nitrato di ammonio, che è utilizzato per la produzione di fertilizzanti. Al momento, il blocco proseguirà fino ad aprile.

“Le sanzioni varate dalla UE riguardano anche la Bielorussia” – segnala Giansanti – che ha deciso il blocco delle importazioni di prodotti agroalimentari dagli Stati membri. Sono già crollate le esportazioni di mele e pere dall’Unione”.

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Russia-Ucraina, sale la tensione. Confagricoltura: possibili conseguenze sul mercato mondiale dei cereali, ma l’Europa è al riparo per l’abbondante produzione interna

“Le crescenti e preoccupanti tensioni tra Federazione Russa e Ucraina possono destabilizzare il mercato internazionale dei cereali, ma l’Unione europea sarebbe al riparo grazie all’abbondanza della produzione interna”, dichiara il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.

La Federazione Russa e l’Ucraina – rileva Confagricoltura – sono tra i principali esportatori di cereali a livello mondiale. Nel complesso le esportazioni di settore dei due Paesi si sono attestate lo scorso anno a circa 44 milioni di tonnellate. Di recente, per contrastare l’aumento dell’inflazione interna, le autorità di Mosca hanno deciso di contingentare l’export di grano fino al prossimo mese di giugno.

“Secondo le ultime stime della Commissione – aggiunge Giansanti – nella campagna di commercializzazione 2021-2022 la produzione di cereali si attesterà nella UE ad oltre 290 milioni di tonnellate. Un quantitativo sufficiente a coprire il fabbisogno interno e ad alimentare un importante flusso di vendite fuori dall’Unione”.

“Ancora una volta, l’indipendenza alimentare si conferma come un punto di forza dell’Unione europea”.

“La nostra attenzione è anche rivolta alle possibili nuove sanzioni che l’Unione europea potrebbe imporre alla Federazione Russa” – evidenzia Giansanti – Dopo le sanzioni imposte dalla UE a seguito dell’annessione illegale della Crimea, le autorità di Mosca dall’agosto 2014 hanno chiuso il mercato russo alle importazioni europee di prodotti ortofrutticoli, formaggi e salumi, con pesanti danni per le produzioni italiane”.

“Nonostante l’embargo, le esportazioni agroalimentari verso la Russia hanno sfiorato i 7 miliardi di euro nel 2020. Una cifra praticamente uguale a quella delle vendite sul mercato giapponese”.

“Per contrastare, inoltre, l’impatto della ripresa dell’inflazione – conclude il presidente di Confagricoltura – stiamo sollecitando l’eliminazione dei dazi UE sulle importazioni di nitrati dalla Federazione Russa che concorrono all’aumento record del prezzo dei fertilizzanti: oltre il 160% in più a novembre dello scorso anno sullo stesso mese del 2020”.

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Olio, Confagricoltura: annata migliore rispetto al 2020, ma ancora sotto le potenzialità

Buoni risultati qualitativi. Quantità variabili da zona a zona. Diminuisce la produzione nelle aree centrali, soffre il Nord. Si paga il prezzo dei cambiamenti climatici.

 

La campagna olearia 2021/22, mediamente, si annuncia in leggera ripresa rispetto a quella dello scorso anno, seppur con forti differenze tra il Nord e le aree del Centro e del Sud. Confagricoltura presenta le stime del comparto mentre si svolgono le prime operazioni di raccolta delle olive in Sicilia.

 

La qualità è buona, e in generale gli operatori sono soddisfatti per lo stato fitosanitario delle drupe – spiegano i tecnici dell’Organizzazione – L’umidità controllata ha infatti contribuito a contenere gli attacchi di mosca, ma la mancanza d’acqua, dovuta a un’estate particolarmente asciutta, limiterà la resa in molte province olivicole.

 

La produzione di olio extravergine d’oliva, in particolare in Veneto e Lombardia, è stata praticamente azzerata a causa delle condizioni climatiche avverse: prima le gelate, che hanno ritardato le fioriture, poi le grandinate estive che hanno dato il colpo di grazia, con perdite anche del 90%. In Liguria la riduzione arriverà al 50% per fitopatologie che a luglio hanno provocato cascola di frutti sani. Dimezzata la produzione in Emilia-Romagna.

 

La situazione al Centro e al Sud si presenta estremamente variegata e altalenante a causa del clima e della disponibilità idrica. In Toscana, sulla costa, si avrà circa il 50% della produzione potenziale; nelle zone interne si andrà al 30%, ma lo stato fitosanitario è sotto controllo. In Abruzzo, rispetto allo scorso anno, la produzione registrerà un aumento del 10% con performance migliori nel Chietino e nel Pescarese. In Umbria si avrà un calo importante, anche se la qualità è ottima. Per Marche e Sardegna si prevede una contrazione, mentre nel Laziol’andamento produttivo si mostrerà a macchia di leopardo, con le province di Latina e Frosinone che lasciano presagire una buona raccolta, mentre Rieti, Viterbo e Roma avranno volumi più bassi. In generale ci si aspetta una riduzione del 25% rispetto allo scorso anno.

 

Tiene l’olio extravergine nelle regioni meridionali, ad eccezione della Campania, dove si prevede un calo del 30%. In Molise, nonostante la siccità, si prevede un aumento del 10% e un prodotto di discreta qualità. In Puglia si annuncia un’annata di carica, ma con i volumi in parte condizionati dalla siccità. Laddove è stata possibile l’irrigazione di soccorso – evidenzia Confagricoltura – si è riusciti a tamponare a scapito di costi di produzione più elevati. Nel Salento c’è grande attesa per i primi impianti di Favolosa (varietà al batterio della Xylella Fastidiosa) che entrano in produzione quest’anno e che lasciano intravedere una luce in un territorio flagellato dalla malattia.

 

In Sicilia c’è soddisfazione per lo stato fitosanitario; la quantità invece è variabile. Si sta già iniziando a raccogliere nella zona orientale per le produzioni di alta qualità, con rese in olio limitate fra il 6% il 10%. In Calabria la campagna presenta una situazione decisamente diversificata, con le aree costiere di Cosenza e Crotone in carica e una buona produzione anche nelle zone interne. Valida la performance anche nel Catanzarese, mentre nelle province di Vibo e Reggio le produzioni si preannunciano meno positive dal punto di vista dei volumi.

 

“Il settore olivicolo-oleario è fortemente influenzato dai cambiamenti climatici estremi – afferma Walter Placida, presidente Federazione (FNP) Olio di Confagricoltura –Abbiamo avuto una stagione segnata da una diffusa siccità, in particolare nelle regioni meridionali, che ha favorito il contenimento delle problematiche fitosanitarie, ma che ha influenzato i volumi produttivi. Soltanto le prossime settimane, con il clima che ci sarà all’inizio dell’autunno, potranno chiarire l’andamento anche in termini di resa in olio”.

 

Il presidente di UNAPOL (Unione Nazionale Associazioni Produttori Olivicoli) Tommaso Loiodice, aggiunge: “Mi auguro che si possano trovare le risorse finanziare da mettere a disposizione del comparto, per ampliare i sistemi di irrigazione in modo da affrontare meglio periodi di siccità che hanno caratterizzato la campagna attuale”.

 

Alcuni dati di mercato

 

L’Italia è il primo importatore mondiale di olio di oliva (da Spagna, Grecia, Tunisia, Portogallo) e il Paese che ne consuma di più: quasi 13 litri/anno pro capite.

 

L’Italia è il secondo produttore, dopo la Spagna e secondo esportatore mondiale. Il 50% dell’export nazionale è concentrato su quattro Paesi, in primis gli USA, che accolgono il 30% del prodotto tricolore, poi Germania, Giappone e Francia. La produzione italiana copre mediamente il 15% di quella mondiale (a fronte del 45% in media della Spagna).

 

La produzione nazionale è concentrata in 3 regioni (Puglia 49%, Calabria 14%, Sicilia 11%), è tendenzialmente in calo e soggetta a una eccessiva variabilità. Negli ultimi 4 anni si registra una diminuzione media del 55%.

Produzione olio Italia 2020

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Vino-Brexit, il Regno Unito taglia la burocrazia sulle importazioni. Confagricoltura: Ottima notizia per il comparto, che nel 2021 aumenta le vendite verso il mercato britannico

Il Regno Unito ha deciso di semplificare gli oneri burocratici relativi all’importazione di vini, che in totale ammonta a oltre 4 miliardi di euro l’anno, di cui circa la metà in arrivo dagli Stati membri della Ue.

Con la decisione annunciata ieri dal governo britannico – spiega Confagricoltura – a partire dal 2022 viene in particolare soppresso l’obbligo di presentazione del certificato VI-1 per i prodotti in arrivo dai Paesi terzi. Sulla base della normativa in vigore, il rilascio del certificato richiede lo svolgimento di complesse analisi di laboratorio.

“Saranno avvantaggiati in modo diretto i consumatori e gli operatori britannici – sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.

Secondo i dati diffusi dal governo di Londra, gli oneri amministrativi determinano un costo di circa 140 milioni di euro l’anno che si scarica su quello finale dei prodotti in arrivo dall’estero.

“La semplificazione amministrativa facilita anche l’attività delle nostre imprese che esportano sul mercato britannico e la possibile riduzione del prezzo finale può far salire ulteriormente il consumo dei vini italiani” – aggiunge Giansanti.

Con un fatturato annuale nell’ordine di 800 milioni di euro, il Regno Unito è il terzo mercato di sbocco per i vini Made in Italy: oltre il 12% sul totale delle esportazioni.

I consumatori britannici, in dettaglio, acquistano 2,6 milioni di ettolitri di vini italiani.

“Siamo tra i primi Paesi fornitori e merita segnalare che l’export di vini della Ue sembra resistere anche alle conseguenze della Brexit – segnala il presidente di Confagricoltura.

Stando ai dati della Commissione europea, le esportazioni agroalimentari dell’Unione sul mercato britannico sono diminuite del 6% – circa 800 milioni di euro in valore assoluto – da gennaio ad aprile di quest’anno sullo stesso periodo del 2020. Per i vini, invece, si è registrato un incremento di 140 milioni.

 

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Export, volano i formaggi italiani nel mondo. Confagricoltura: “L’Europa diventi modello di riferimento per gli scambi internazionali”

Formaggi italiani in grande evidenza sui mercati internazionali. Secondo le cifre rese note dal CLAL, società di consulenza e servizi per il settore lattiero – caseario, nei primi cinque mesi di quest’anno le esportazioni verso gli USA sono ammontate a 13.635 tonnellate, con un balzo in avanti di oltre il 120% nel solo mese di maggio. L’Italia è il primo esportatore di formaggi sul mercato statunitense.

Sempre da gennaio a maggio, l’export verso Australia e Canada ha fatto registrare aumenti che sfiorano il 30% sullo stesso periodo del 2019.

“Per quanto riguarda il mercato canadese, con 2.627 tonnellate esportate, è stato conseguito il miglior risultato dal 2016, che è l’anno precedente all’entrata in vigore del CETA, l’accordo economico e commerciale tra UE e Canada” – evidenzia il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – Questi dati confermano, una volta di più, che il CETA è vantaggioso per l’agricoltura italiana”.

“Gli accordi commerciali sottoscritti dalla UE sono, in generale, un valido strumento per supportare la crescita delle esportazioni agroalimentari italiane” – sostiene Giansanti – anche per la tutela assicurata alle indicazioni geografiche. Prima del CETA, ad esempio, le denominazioni Prosciutto di Parma e Prosciutto San Daniele non potevano essere utilizzate sul mercato canadese”.

“Ora, però, serve un salto di qualità nella politica commerciale della UE nell’ottica della sostenibilità ambientale e della protezione delle risorse naturali”.

“L’Europa deve diventare un modello di riferimento su scala globale – sostiene il presidente di Confagricoltura – La clausola di reciprocità deve essere inserita negli accordi con i Paesi terzi. In sostanza, il mercato unico può essere aperto soltanto ai prodotti ottenuti con regole compatibili con quelle europee in materia di sicurezza alimentare, diritti dei lavoratori, sostenibilità ambientale e benessere degli animali”.

“Dobbiamo, inoltre, cominciare a lavorare per il varo di un sistema di certificazione ambientale dei prodotti agricoli. Per il Made in Italy – conclude Giansanti – sarebbe un riconoscimento aggiuntivo, oltre a quello consolidato e indiscutibile della qualità, per conquistare nuove posizioni sul mercato mondiale”.

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Export UE in calo, pesa il post Brexit. Confagricoltura: “Nella disputa delle due Irlande, preservare il mercato unico europeo”

Prosegue la diminuzione delle esportazioni agroalimentari dell’Unione europea. Nei primi due mesi di quest’anno – evidenzia Confagricoltura sulla base dei dati diffusi dalla Commissione UE – si sono attestate a 28,5 miliardi di euro, il 6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2020.

“Il dato più preoccupante – rileva il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – è che la contrazione delle vendite ha riguardato soprattutto Regno Unito e Stati Uniti, che sono due importanti mercati di sbocco per il Made in Italy agroalimentare”.

Complessivamente le esportazioni europee sono diminuite di circa 1,4 miliardi di euro nel periodo considerato.

“Con ogni probabilità la situazione sul mercato statunitense è destinata a migliorare – sottolinea Giansanti – per il superamento dell’emergenza sanitaria e per la sospensione dei dazi applicati nel quadro del contenzioso sugli aiuti pubblici ai gruppi Airbus e Boeing. La ripresa del dialogo e della cooperazione sulle questioni del commercio estero lascia sperare che sarà raggiunta entro luglio una soluzione definitiva”.

“Per il mercato del Regno Unito, invece, le prospettive non sono incoraggianti. L’uscita dalla UE ha determinato l’aumento degli oneri amministrativi e, di conseguenza, il costo delle spedizioni. Inoltre, salgono le tensioni tra Bruxelles e Londra sul protocollo relativo ai confini tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord”.

Confagricoltura ricorda che l’Irlanda del Nord continua ad applicare le regole della UE e il governo di Londra si è impegnato ad effettuare i controlli di conformità sulle merci in transito dalla Gran Bretagna. L’avvio dei controlli è stato rinviato e il Regno Unito ha chiesto di rivedere l’intesa perché ritenuta insostenibile a lungo termine, in primo luogo per il settore agroalimentare.

“Senza i controlli concordati rischiano di arrivare sul mercato unico, provenienti dall’Irlanda del Nord, prodotti non conformi alle norme europee in materia di standard produttivi e sicurezza alimentare. E’ un rischio che non possiamo correre” – aggiunge il presidente di Confagricoltura.

“L’intesa sul recesso del Regno Unito, approvata anche a livello parlamentare, non può essere riaperta. Per risolvere il problema basterebbe l’allineamento da parte britannica alle regole della UE, che sono tra le migliori e più sicure su scala mondiale. E’ una soluzione che avrebbe anche il sostegno degli agricoltori del Regno Unito” – conclude Giansanti.

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