Caro pasta, il vicepresidente di Confagricoltura Lasagna al MIMIT: auspichiamo dialogo costruttivo per garantire valore a tutte le parti della filiera

“Promuovere una riflessione comune finalizzata a combattere il clima di sfiducia che rischia di diffondersi all’interno e tra i singoli attori della filiera, imprese agricole comprese, e a riconoscere un giusto prezzo della materia prima per dare valore a tutte le parti della filiera. La riunione di oggi è sicuramente un primo grande passo verso questa direzione”.  Lo ha affermato il vicepresidente di Confagricoltura, Matteo Lasagna, intervenuto alla Commissione di allerta rapida convocata al MIMIT questo pomeriggio dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, per un’analisi sui rincari della pasta, aumentata di circa il 17% rispetto all’anno scorso, in un contesto caratterizzato dalla riduzione del prezzo del grano duro e dalle dinamiche variabili dei costi dell’energia e degli altri fattori della produzione. 

“La recente evoluzione delle quotazioni di mercato a livello nazionale sta preoccupando non poco gli agricoltori, che – ha precisato Lasagna – nonostante le recenti inversioni di tendenza, stanno ancora patendo il forte aumento dei costi di produzione affrontato nell’ultimo anno. Per il grano duro, nelle ultime settimane i prezzi all’origine si sono contratti notevolmente, con riduzioni che hanno raggiunto il 10% su base settimanale”. 

La questione della tenuta del prezzo pone un serio problema di approvvigionamento. Confagricoltura rimarca che, mentre negli ultimi anni si era assistito a un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento per il grano duro, la minore remunerazione della materia prima potrebbe indurre a una contrazione delle semine e della produzione nazionale che, a sua volta, potrebbe concludersi in un maggiore ricorso alle importazioni. L’Italia, – ricorda la Confederazione – è il primo produttore mondiale di pasta, ma è ancora fortemente dipendente dall’import di materie prime. 

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Per gli imprenditori agricoli il tempo delle scelte (quasi obbligate): diminuire la produzione?

Le amare riflessioni e i quesiti illuminanti del Socio di Confagricoltura Ragusa,  dott. Roberto Giadone (Natura Iblea – Paniere Bio, azienda agricola di Ispica leader nel settore bio), già vincitore di diverse edizioni del premio Welfare Index PMI 

Quali scelte deve fare un agricoltore in questo momento di grande incertezza? Siamo nella fase di inizio di unanuova campagna dove dobbiamo pianificare le quantità, le varietà e i tempi di produzione. Per noi agricoltori è il tempo delle scelte.

Le aziende agricole non sono delle casseforti finanziarie, con riserve di denaro illimitate, tutto quello che guadagniamo è quasi sempre reinvestito nell’azienda stessa. Un errore di valutazione può essere cruciale per la sopravvivenza stessa delle nostre aziende.
In questa fase qualche giorno fa mi sono trovato a fare queste considerazioni:

1 – abbiamo uno spropositato aumento dei costi di produzione e quindi dovremo vendere il prodotto ad un prezzo di almeno il doppio della scorsa stagione, ed avremo un raddoppio dell’investimento finanziario iniziale in semi, concimi, coperture, energia, ecc.;

2 – il potere di acquisto dei singoli cittadini non è aumentato (stipendi al palo) anzi è diminuito a causa dell’inflazione;

3 – la difficoltà nel reperire manodopera mi ha portato a non poter raccogliere tutto il prodotto in campo nella scorsa stagione.

Queste considerazioni mi hanno portato ad una scelta quasi obbligata: diminuire la produzione. Ridurre la produzione e quindi abbassare la nostra offerta di prodotto. Avremo un minore investimento iniziale, non avremo bisogno di tornare alla spasmodica ricerca di personale (anzi lo diminuiremmo), non offriremmo al consumatore impoverito troppo prodotto caro. Scelta semplice, intuitiva ed economicamente intelligente. Ma… La GDO potrà accettare di avere gli scaffali vuoti per mancanza di prodotto? Il consumatore medio rinuncerà all’acquisto del “fresco fuori stagione” anche se è ormai entrato nella logica salutistica di una dieta variata tutto l’anno? Il surplus di personale ed i conseguenti licenziamenti come potranno avvenire senza operare scelte penose e dolorose? Come ammortizzare le spese delle nostre strutture con un fatturato minore?
Molte volte le scelte intelligenti non sono anche semplici. Io non ho una ricetta in mano per dare una risposta alle domande, ma è pur sempre vero che abbiamo, noi agricoltori, da sempre una spiccata attitudine a superare e sopportare i problemi. Nel mio dialetto siciliano c’è un detto che recita così “calati juncu ca passa la china” (calati giunco e fai passare la piena del fiume) per poi rialzarsi più forti di prima. Speriamo…

 

Roberto Giadone

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Caro bollette, Api (Confagricoltura): pesce italiano a rischio sulle tavole

“Sono letteralmente saltate, a causa del drastico aumento dei costi di produzione per i prodotti della piscicoltura, le programmazioni per i prossimi mesi, incidendo sulla presenza del prodotto ittico d’acquacoltura, mettendo a rischio la stessa sopravvivenza di molte imprese del settore e la presenza di pesce ‘made in Italy’ fino alle prossime feste natalizie”. Questo l’allarme lanciato da Pier Antonio Salvador, presidente dell’associazione piscicoltori italiani di Confagricoltura.

La situazione, denunciano i piscicoltori di Confagricoltura, dopo oltre 6 mesi di conflitto, è aggravata dalla forte carenza idrica determinata dal prolungarsi del periodo siccitoso. Queste le cause scatenanti di considerevoli e potenzialmente irreversibili ripercussioni sulle imprese del settore.

I mangimi sono aumentati del 35%, l’energia elettrica dal 200 al 300 % (in base alle tipologie d’utilizzo), l’ossigeno liquido ha segnato almeno un +250%. Incrementi importanti anche nella logistica interna (mezzi aziendali e imbarcazioni) e negli scambi con fornitori e clienti dovuti ai rincari dei carburanti agricoli (che non hanno tutte le agevolazioni della pesca), nel costo degli avannotti, degli imballaggi, dei materiali e pezzi di ricambio necessari alla manutenzione degli impianti e delle attrezzature.

Il già notevole aumento del costo unitario di produzione è addirittura raddoppiato nei sistemi fortemente dipendenti dalla disponibilità di energia elettrica. Nel caso degli impianti a terra, gli allevatori hanno dovuto attivare le pompe, prevalentemente inutilizzate da 2003 (altra annata estremamente siccitosa); rilevante anche l’impatto sulle aree lagunari, in particolare nel Nord Adriatico.

“Siamo molto preoccupati – conclude Salvador – per il tragico quadro che si è determinato dal punto di vista economico. Per gli allevamenti non si può configurare un lockdown ma, senza urgenti provvedimenti in grado di abbattere immediatamente i costi, crescerà inevitabilmente il numero delle imprese a rischio chiusura, costringendo gli italiani a consumare sempre più pesce importato”.

 

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