Premiata la tradizione dei tartufai italiani, quella del famoso tartufo delle Langhe piemontesi, del tartufo di San Miniato in Toscana,o quello di Norcia in Umbria. La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” è ufficialmente diventata Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. La decisione è stata ufficializzata lo scorso 16 dicembre a Parigi attraverso il Comitato intergovernativo dell’Unesco. Un riconoscimento arrivato a seguito della candidatura italiana presentata dalla Farnesina nel marzo 2020 e che è stata preceduta da un accurato e lungo lavoro di catalogazione per documentare una tradizione che viene praticata e tramandata in gran parte del Paese. La nuova iscrizione porta a 15 il numero di eccellenze italiane iscritte nella Lista del Patrimonio immateriale, su un totale di oltre 600.
La candidatura italiana è stata coordinata sotto l’aspetto tecnico-scientifico e istituzionale del Servizio II-Ufficio Unesco del Segretariato generale del ministero della Cultura (MiC) in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), la Rappresentanza Permanente Italiana presso l’Unesco e la Commissione nazionale italiana per l’Unesco. L’iter che ha portato il tartufo nazionale a diventare patrimonio dell’Umanità ha coinvolto una rete interregionale composta dall’Associazione nazionale Città del tartufo (Anct), dai soggetti riuniti in gruppi associati nella Federazione nazionale associazioni tartufai italiana (Fnati) e da altre libere associazioni. La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia” rappresentano un patrimonio culturale immateriale di conoscenze e pratiche trasmesse oralmente per secoli. Una tradizione, come si legge nella presentazione della candidatura “tramandata attraverso storie, aneddoti, pratiche e proverbi che raccontano di un sapere che riunisce vita rurale, tutela del territorio e alta cucina”.
Il tartufo dei Monti Iblei: 3 varietà da scoprire
Mentre è molto noto il tartufo piemontese, toscano o umbro, meno conosciuto è quello siciliano, per la precisione, ragusano: il tartufo dei Monti Iblei. Di cui esistono tre varietà:
- il cosiddetto Scorzone o Tartufo Nero Estivo (Tuber aestivum Vittad. 1831), che matura tra maggio e luglio e che può essere rinvenuto anche in autunno o ad inizio inverno nella sua varietà Uncinatum Chatin;
- Tartufo Nero Invernale, noto scientificamente come Tuber brumale Vittad. Tipico del periodo invernale, all’esterno si presenta relativamente simile al tartufo nero estivo anche se – ad una più attenta analisi – rivela un peridio caratterizzato dalla presenza di verruche decisamente più piatte e meno evidenti rispetto allo scorzone;
- infine, il periodo che va dal tardo inverno e fino alla primavera, vede la comparsa sul mercato del Tartufo Bianchetto (Tuber borchii Vittad.), da non confondere con il ben più pregiato Tartufo bianco (Tuber magnatum Pico).
Il territorio ibleo – come spiega il micologo Giovanni Amato – presenta i requisiti ecologici che sono richiesti da questi particolari funghi ipogei, per vivere. In primo luogo il suolo calcareo, diffuso non solo in area iblea ma anche in altre estese porzioni della nostra Isola, può certamente fare la differenza tra la presenza o meno della maggior specie di tartufi. Inoltre le formazioni boschive, sia naturali che di impianto, rappresentano i contesti ambientali ideali per la presenza del tartufo*.
*Credits: GazzettadelGusto.it