Le conclusioni del Rapporto ISMEA-SVIMEZ sull’agricoltura del Mezzogiorno indicano quella che dovrà essere la via maestra per un nuovo quadro di politiche agricole: la valorizzazione delle produzioni meridionali, attraverso la valorizzazione della qualità del prodotto e la sostenibilità del processo produttivo.
Il 2017 è stato un altro anno difficile per l’agricoltura italiana, ma, in questo contesto, il Mezzogiorno ha avuto una performance migliore di quella del Centro-Nord. Soprattutto grazie all’andamento del settore olivicolo e all’aumento dell’export agricolo. All’aumento del Valore Aggiunto agricolo nel 2017 ha contribuito, infatti, soprattutto il Sud, con 13 miliardi e 178 milioni di euro (+6,1% rispetto al 2016, a fronte del +2,5% nel Centro-Nord).
I settori che l’anno scorso hanno maggiormente risentito delle avversità metereologiche sono stati quelli del vino (-14% della produzione), dei cereali (-11,7%), della frutta (-6,15), con particolare riferimento alle mele (-18,2%).
L’olio, invece, dopo un 2016 molto critico, ha aumentato la produzione del 17,3%, che tuttavia non è stato sufficiente a recuperare i livelli produttivi del passato.
Rimane basso il livello degli investimenti nell’agricoltura meridionale: dopo due anni di sostanziale stabilità, i dati del 2017 mostrano non solo un aumento più consistente degli investimenti fissi nel settore (+3,3%), ma anche una variazione percentuale leggermente maggiore per l’agricoltura meridionale (+3,4%) rispetto a quella rilevata nel Centro-Nord (3,2%).
Questo ultimo dato, tuttavia, va inquadrato all’interno di un discorso più ampio sugli investimenti nell’agricoltura meridionale. Il rapporto tra investimenti e valore aggiunto prodotto è pari al 17% nel Mezzogiorno, contro il 37% rilevato per l’agricoltura centro-settentrionale.
Il sistema agroalimentare meridionale è una potenzialità ancora parzialmente inespressa per lo sviluppo dell’economia meridionale. Gli elementi di vitalità si scontrano ancora con vincoli che ne depotenziano la possibilità di attivare virtuosi processi di crescita della produzione e dell’occupazione. Superare questi vincoli richiede una strategia, una “visione” che sia in grado di cogliere il ruolo dell’agricoltura non solo come produttore di beni in senso stretto, ma anche come settore che produce beni di qualità (nelle sue diverse accezioni), come elemento caratterizzante delle aree rurali con il loro portato di relazioni sociali, tradizioni e identità culturali, come componente del tessuto produttivo che può svolgere un ruolo importante nella tutela del paesaggio e della biodiversità, nonché nella difesa del territorio.
Restano, tuttavia, molti punti deboli che vanno affrontati se si vuole innescare un circolo virtuoso di sviluppo in cui l’attività primaria abbia un suo ruolo forte. In primo luogo, esiste ancora un divario funzionale tra il Mezzogiorno produttore di materie prime e il Centro-Nord in cui sono localizzate le fasi a maggiore valore aggiunto, non solo le industrie di trasformazione, ma anche gli esportatori e le piattaforme di distribuzione con servizi integrati.